La Fondazione della parrocchia
Il paese di S. Alfio ha una prerogativa unica più che rara: quella di avere avuto fondata la parrocchia personalmente dal Papa, e il Comune direttamente dal Re. Come ciò sia avvenuto crediamo che valga la pena di consegnarlo alla memoria dei posteri.
Fino al 1905 la chiesa di S. Alfio era chiesa sacramentale, filiale della parrocchia di Giarre che abbracciava una larga zona della piana di Mascali: Treppunti, S. Leonardello, Macchia, Dagala del Re, Monacella, S. Giovanni Montebello, S. Alfio e Milo. Era allora difficile ottenere lo smembramento per la costituzione di una nuova parrocchia. Bisognava intentare una causa ecclesiastica presso la Sacra Congregazione competente. Sostenere una causa a Roma per superare l'opposizione della parrocchia di appartenenza sembrava un'impresa molto ardua. Però il sac. Salvatore Leonardi della filiale di S. Giovanni coadiuvato dal sac. Giovanni Musumeci che era un abile giurista nel campo del diritto ecclesiastico, prese l'iniziativa di questo smembramento, associando alla istanza della filiale S. Giovanni quella della filiale S. Alfio che dava maggior peso alla domanda, sia per il numero delle anime, sia per la distanza del luogo. Fu stabilito che la chiesa di S. Giovanni, la quale apportava le spese della causa e il capitale per la fondazione della congrua parrocchiale, sarebbe stata la sede della nuova parrocchia, ma che non avrebbe fatto opposizione alcuna il giorno che S. Alfio avesse voluto costituirsi parrocchia autonoma.
La Congregazione accolse i motivi e fu eretta la nuova parrocchia di S. Giovanni di cui la chiesa di S. Alfio passò ad essere la filiale.
Le cose da principio filarono diritte, ma a un certo punto nacque un dissenso. Tra Sant'Alfio e San Giovanni, da tramontana a mezzogiorno a Dispensa Nuova, si apre una strada che era stata il confine tra le competenze delle due filiali di Giarre. Il parroco di S. Giovanni però fece sapere che anche le case poste sul lato superiore della strada, cioè quelle del lato di S. Alfio dovevano essere benedette dal cappellano della chiesa di S. Giovanni. Alcuni abitanti delle case interessate protestarono e, quando venne il cappellano di S. Giovanni per la benedizione di Pasqua, gli fecero trovare le porte chiuse. Poi non volendo che le case restassero prive della benedizione rituale si rivolsero a un sacerdote santalfiese pio e conciliante, il Sac. Alfio Raciti, che in modo privato diede la benedizione pasquale. Il parroco se ne lamentò col Vescovo come di un atto di indisciplina, il che diede motivo a un più grave incidente.
Si avvicinava la festa di S. Alfio (prima domenica di maggio 1915) e per tradizione la Messa solenne veniva cantata dal parroco. Dati i dissapori che si erano creati tra il parroco e la popolazione di S. Alfio per quei benedetti (vedi ironia della parola) confini e, dato che da qualche anno il parroco aveva ben volentieri acconsentito che cantasse la Messa Mons. Sebastiano Nicotra, santalfiese residente allora a Catania, il cappellano di S. Alfio pensò che invitandolo anche quell'anno si sarebbe risolto felicemente il caso. Il cappellano aveva di già invitato per tenere il panegirico dei tre Santi il sac. prof. Antonino Tosto di Acireale, che sarebbe dovuto venire in carrozza la stessa mattina. Ma quando il sac. Tosto si presentò il giorno avanti per avere le necessarie facoltà, il Vicario generale, che ricordava le lamentele fatte a suo tempo dell'arciprete di S. Giovanni, gli domandò chi lo avesse invitato. Saputo che era stato il cappellano del paese e non il parroco della parrocchia di S. Giovanni, gli disse che per accordare la facoltà occorreva l'invito del parroco.
Il mancato predicatore inviò al cappellano un secco telegramma che diceva: mancando invito parroco impossibilitato venire. Il telegramma giunse in S. Alfio nella tarda mattinata della festa, quando, dopo avere atteso invano il predicatore, si era dato inizio alla Messa cantata. A giustificazione del ritardo e del mancato panegirico, al popolo che mormorava fu data lettura del telegramma che fu interpretato in peggior senso che non volesse dire. Si credette che significasse: non avete invitato il parroco a cantare la Messa, non avrete il predicatore per il panegirico.
Successe il finimondo. I più scalmanati aizzavano la folla a recarsi subito a S. Giovanni per fare giustizia sommaria dell'arciprete. Ma prevalse il buonsenso dei più, anche perché il commissario di pubblica sicurezza presente alla festa ebbe tatto e seppe fare. Prese la parola dicendo che, se aveva ben capito, l'arciprete aveva guastato la festa, ma che bisognava non farsi prendere al gioco. Era vero che era stata guastata la Messa cantata, essendo venuto meno il panegirico, ma bisognava guardarsi bene di aggiungere guasto a guasto. Manca qualche ora per il Giro dei Santi e anche dai paesi vicini si aspettano gli spari dell'Uscita. Se vi lasciate prendere dal risentimento e vi abbandonate alla collera finirete per guastare tutta la festa.
Bisogna far vedere che la festa si farà e anche più solenne: con gallo e senza gallo Dio fa giorno. Bombe più gagliarde e continuate la festa. Poi avrete il tempo di regolare la partita.
Per quel giorno la cosa finì, ma rimase la ruggine. L'anno successivo il vescovo Mons. Arista doveva venir per la sacra visita nella parrocchia ed anche nella filiale di S. Alfio. Naturalmente non poteva venir senza che lo accompagnasse il parroco, anche perché sperava di chiudere l'incidente. Ma c'erano di mezzo gli avventati che avevano preparato contro l'arciprete una propaganda insidiosa e sottile che alimentava le rivalità campanilistiche. Fingevano di discorrere a bassa voce tra di loro per meglio attirare attenzione e quando qualcuno si avvicinava per origliare andavano dicendo: << Possibile? Vuole spostare i confini anche al di sopra del cimitero? Neanche i nostri morti vuol rispettare?>>
E un altro giorno: E la nostra bella campana grande deve andare a S. Giovanni perché è quella la chiesa madre?
E poi ancora, l'argomento che faceva più presa: Anche l'oro dei Santi vuol portarselo a S. Giovanni perché, a sentire lui, tocca al parroco custodirlo.
Era stata inoltre messa in giro la voce che un parroco, il quale per il tempo di tre anni continui non avesse esercitato personalmente presente la sua funzione di parroco in una sua chiesa filiale, automaticamente veniva a decadere d'ogni suo diritto su quella chiesa. In conseguenza, essendo prossimo a compiersi il triennio dal giorno in cui il parroco non si era fatto vedere nella chiesa di S.Alfio, bisognava stare attenti a non farlo venire in nessun modo (e a nessun modo voleva dire: neanche per accompagnare il Vescovo) perché così perdesse irremissibilmente ogni suo diritto sulla chiesa di S. Alfio.
Questa propaganda spicciola aveva arroventato l'aria. Quando il vescovo venuto a S. Giovanni mandò da lì due sacerdoti tra i più stimati della diocesi per preparare il terreno in S. Alfio, questi furono scorti da quanti stavano alle vedette che, chiamarono a raccolta la gente col suono della <<rogna>>, la conchiglia tortile con cui veniva chiamata al palmento la ciurma dei vendemmiatori. Come a un segnale convenuto accorsero gli uomini dalle campagne e ingiunsero ai due sacerdoti di tornarsene da dove erano venuti, e siccome essi proseguivano senza tener conto dell'ingiunzione, alcuni ricorsero al lancio di qualche pietra. E' vero che quelle sassate erano soltanto simboliche e non miravano al segno, tanto che i due reverendi poterono giungere fino alla chiesa senza essere per nulla colpiti, ma è anche vero che mostravano a qual segno fosse montata l'eccitazione popolare.
Quei due sacerdoti trovarono la chiesa e le strade adiacenti deserte cosicché nulla poterono fare per portare in porto la loro missione. Per ordine del vescovo la chiesa rimase chiusa per qualche giorno; poi le cose restarono come prima, anzi peggio di prima; poiché il dissidio minacciava di incancrenire.
Era questa la situazione quando saliva al pontificato Benedetto XV, compagno di collegio di Mons. Sebastiano Nicotra, il prelato che aveva celebrato la Messa cantata di quella festa memoranda.
Il Papa consacrò personalmente vescovo il suo vecchio compagno di collegio e lo nominò Nunzio nel Cile. Mons. Sebastiano Nicotra ebbe modo di parlargli dell'increscioso incidente che aveva turbato la vita religiosa del suo paese nativo e il Sommo Pontefice chiudeva la vertenza elevando la chiesa di S. Alfio a parrocchia arcipretale, approntandone egli stesso la dote per la fondazione della congrua.
Mons. Arista poteva ormai venire nella nuova parrocchia per amministrarvi la cresima. Fu accolto con un vero trionfo che voleva riparare i dispiaceri che lo avevano amareggiato. I cresimati furono diverse centinaia; la grande chiesa poteva a stento contenere la folla dei fedeli. Cresimandi, genitori, padrini, madrine ricevettero la comunione dalle mani del vescovo che commosso disse ai fedeli: Mi sono tanto stancato, ma ho tanto gioito nel Signore. Il Santo vescovo portava già i germi del male che lo avrebbe portato precocemente alla tomba.
Anche l'arciprete di S. Giovanni, Don Salvatore Leonardi, volle chiudere la dolorosa parentesi con un segno di cordiale generosità, donando alla sua antica filiale un bel calice fregiato di smalto. Con quel calice fu celebrata la Messa cantata il giorno della festa dei tre Santi.