CHIESA MADRE
Agli inizi del 1600 gli acesi ebbero l'iniziativa di prendere a censo le terre dell'adiacente piana di Mascali e tra queste anche quelle della zona santalfiese. Con queste concessioni si diede inizio alla bonifica del nostro territorio e la zona cominciò a popolarsi: ogni famiglia aveva la sua casa nel suo pezzo di terra che poi nel tempo veniva suddiviso tra i figli. Così pian piano s'incominciarono a formare i primi quartieri: il quartiere dei Paoli; delle Casevecchie; di Cava; della Perriera; dei Nucifora; dei Costantini ed altri più lontani. Il più delle volte questi quartieri prendevano nome da qualche segno che li distingueva; ma anche dal nome o nomignolo del concessionario.
Quello che doveva divenire il quartiere centrale del paese, prese origine dalla concessione a censo delle terre di proprietà della Chiesa di Viagrande. Il popolo le chiamava le terre dei <<Parrini>>, sacerdoti, perché erano i "parrini" che le amministravano. Queste terre si estendevano dalla contrada di S. Cristoforo fino al punto, dove oggi sorge la Chiesa Madre di S.Alfio.
Con il passare del tempo i piccoli quartieri si espandevano sempre più e gradualmente cresceva anche la popolazione nel contesto territoriale, pertanto nonostante la presenza di qualche oratorio ubicato all’interno dei vari feudi, si incominciò a sentire l’esigenza di avere un chiesa propria in loco ed da questo impulso, agli inizi del secolo XVII i sacerdoti "Parrini" della Chiesa di Viagrande (CT), donarono nello "Scarrone", che dominava dall'alto tutto l'appezzamento, il terreno per la costruzione di una Chiesa, ed aiutarono anche con cospicui contributi il popolo che ne intraprese la edificazione. Dinnanzi alla Chiesa fu aperta anche una strada diritta che le dava maggiore spicco sullo sfondo.
La struttura e le dimensioni di questa prima chiesa le possiamo rilevare ancor oggi, poiché essa è stata incorporata nella chiesa madre attuale e costituisce la parte anteriore della navata centrale fino alla cupola esclusa. La chiesa era più lunga, in quanto la facciata sporgeva rispetto all'attuale un paio di metri in avanti, tanto che dalla parte di tramontana c'era una porta laterale che dava sull'attuale piazzetta sopraelevata che costituisce il sacrato. Di conseguenza il sacrato della vecchia chiesa era più piccolo rispetto adesso e vi si accedeva con una scalinata a tre rampe con una forma di piramide mozza. La scalinata centrale quando fu costruita la nuova chiesa fu eliminata con la costruzione di un muro e la scalinata di tramontana fu sostituita con una rampa rotabile. Di questa scala resta soltanto il corpo di mezzogiorno.
La costruzione della nuova Chiesa
Nascendo il paese era nato con esso il luogo destinato al culto, ma esso risultò insufficiente alla bisogna, e di conseguenza con l'incremento della popolazione si pose il problema di ampliare l'edificio della Chiesa. Il primo edificio destinato al culto alla fine del Settecento era stato abbellito della facciata e di una piazzetta antistante sopraelevata, alla quale come detto, si accedeva di fronte e dai due lati con tre rampe di scala collegate fra loro a piramide. A questa sistemazione aveva provveduto un maestro muratore di Acireale, Antonino Pelluzza e suo figlio Rosario, il quale si accasò in S. Alfio fissandovi la residenza.
A lui toccò in seguito di dirigere i lavori di ampliamento della nuova Chiesa. Il 1811 la Chiesa di S. Alfio era stata elevata a Chiesa sacramentale da Mons. Carrasi, Arcivescovo di Messina, alla cui diocesi apparteneva allora il territorio della ex Contea di Mascali. Da quel giorno gli abitanti del posto non ebbero più a ricorrere alla vicina Chiesa di S. Giovanni per l'amministrazione dei sacramenti. I registri di Battesimo, di Matrimonio e dei Morti nella Chiesa di S. Alfio hanno inizio, infatti da quell'anno.
Primo cappellano della Chiesa sacramentale fu il sacerdote Pietro Caltabiano che fu un grande benefattore del paese poiché, si impegno insieme agli abitanti a dare un maggior decoro al nascente paese, con la sistemazione dell’abitato, dando un primo assetto alla circolazione interna del paese, aprendo e congiungendo strade nel dedalo delle viuzze, dei viottoli e dei cortili. In particolare fu lui a provvedere la chiesa delle statue in legno dei Santi, che aveva ottenuto dalla chiesa di S. Pietro di Acireale, dove erano stati venerati e venivano allora sostituiti da altre statue nuove. Ed inoltre pensò a costruire il cosiddetto Percorso del Giro, congiungendo con due trasversali le due mulattiere che salivano a monte, formando un anello stradale che diventò il nucleo centrale del paese, e così fu possibile svolgere nella festa patronale la sacra processione dei simulacri dei Santi.
Gli succeddette il sac. Giuseppe Caltabiano, pio e zelante che lasciò una durevole impronta nella vita cristiana del paese e nelle pratiche del culto. Successivamente fu il sacerdote Giacomo Nicotra che intraprese larga visione la costruzione della nuova Chiesa.
La necessità di una Chiesa più ampia era già sentita da tutti; c'era però un contrasto di vedute sul luogo dove essa doveva sorgere. Alcuni propendevano per il sito dove oggi stanno le Scuole elementari, portando la ragione che il posto era più facilmente accessibile agli abitanti delle campagne; altri volevano che restasse nello stesso luogo che ormai era divenuto il centro del paese. Alla fine prevalse questa opinione caldeggiata anche dallo stesso sac. Nicotra il quale faceva notare che un'altra Chiesa più bella e più grande sarebbe stata seme di discordia nel paese, che si sarebbe diviso in due fazioni, opponendo quartiere contro quartiere, mentre tutti dovevano restare unitamente santalfiesi.
Per poter fare insieme le due cose - costruire, cioè, la grande Chiesa nel posto dell'antica e lasciare provvisoriamente intatta la chiesa antica perché vi si potessero nel frattempo continuare a celebrare le sacre funzioni - il Sac. Nicotra ebbe un'idea ardita che mostra la sua genialità e il suo cuore magnanimo. Fece elaborare dall'ing. Francesco Paolo Patanè da Acireale, lo schema di un progetto di una Chiesa a tre navate e a croce con un transetto al centro sotto la cupola. L'antica chiesa veniva incorporata nel progetto come il tratto anteriore della navata centrale della costruenda chiesa, ma provvisoriamente sarebbe rimasta per l'esercizio delle sacre funzioni. Frattanto si sarebbe dato inizio alla costruzione del corpo posteriore dell'edificio partendo dai quattro pilastri di sostegno della cupola. A costruzione ultimata di questa parte, potendosi in essa celebrare le sacre funzioni, si sarebbe demolita la Chiesa vecchia per ricostruirla a tre navate in armonia con l'intero edificio.
Così sistemata la vertenza si poté dare inizio ai lavori. La popolazione apportò con entusiasmo la sua collaborazione, concorrendo col suo lavoro del tutto gratuito o a paga ridotta. Fu costruita una calcare per cuocere le pietre calcaree prelevate da Augusta e da lì trasportate su barconi a Punta secca (Stazzo e Pozzillo), da dove venivano a dorso di mulo e di asino. La stessa calcare giovò per la cottura delle tegole per la copertura del tetto e delle mattonelle per il pavimento interno, fatte con creta che veniva trasportata dalla zona di Vena nel comune di Piedimonte Etneo (CT). Va da sé che il popolo provvedeva in gran parte al trasporto del materiale e a procurare la legna per la cottura.
Anche la gioventù del luogo, che allora formava una compagnia della guardia Nazionale, tutte le domeniche chiudeva le esercitazioni militari col fare un trasporto di pietre per la muratura.
La Chiesa sorse solida e imponente. I pilastri della cupola hanno le fondamenta tanto profonde quanto è alto il cornicione. La lunga e forte scala a pioli che serviva ai manovali per il trasporto dei materiali, era la stessa che era giovata a scendere nello scavo delle fondazioni. Il popolo diceva con orgoglio: sotto il pavimento c'è fabbricata un'altra chiesa alta quanto quella che si vede al disopra.
Quando la costruzione della parte posteriore fu ultimata nell'anno 1867, come segna una data scritta a calce - Don Giacomo Nicotra, dopo aver celebrato la Messa di domenica per l'ultima volta sull'altare della Chiesa antica, invitò il popolo ad abbattere e rimuovere l'abside della vecchia chiesa: apparve allora la Chiesa nuova che veniva a formare la continuazione dell'antica. Dal grande coro della Chiesa nuova Padre Don Giacomo impartì la stessa sera la Benedizione Eucaristica. Raccontavano i presenti che prima della Benedizione il degno sacerdote aveva tentato di dire al popolo qualche parola di occasione, ma colto dalla commozione non aveva potuto dire che queste parole: Viva la misericordia di Dio!
Dopo questo entusiastico e diuturno slancio, i lavori ebbero una sosta.
Furono ripresi verso la fine del secolo, nel 1894 dal Sac. Vincenzo Caltabiano. Si pose mano alla costruzione della parte anteriore. Fino a poco tempo fa si vedeva la demarcazione delle due costruzioni: la parte posteriore aveva i finestroni con l'intelaiatura di legno; la parte anteriore, la nuova, con l'intelaiatura di ferro.
Dopo questa ripresa ci fu ancora un'altra pausa durante la quale si curò l'interno della Chiesa, soprattutto gli altari che son tutti di marmo, le balaustre, la crociera centrale del pavimento, il pulpito, la pittura del trionfo dei tre Santi in alto sulla cappella al centro dell'abside.
L'ultima ripresa dei lavori di costruzione fu fatta subito dopo la fine della prima grande guerra europea, quando fu abbattuta la vecchia facciata e si edificò il rustico attuale della nuova, che è ritirata di circa due metri rispetto all'antica per dare più spazio al fercolo - la Bara - nell'uscita e nell'entrata dei simulacri dei Santi,, ma è più larga perché abbraccia le tre navate.
Nel campanile antico era stato collocato un campanone fuso anche questo in S. Alfio da maestri di Tortorici (ME). Quel campanone aveva una magnifica voce dalle lunghe vibrazioni; purtroppo la fusione non era riuscita e andava slabbrandosi. Non si credette opportuno ricollocarlo in quello stato nel nuovo campanile e fu rifuso e ingrandito ad Agnone nella fonderia Mannelli nel 1926. La nuova Campana ottenuta si chiama Maria e porta in bassorilievo l'effigie dei Santi più venerati nel paese. Pesa 45 quintali.
Le tre porte della Chiesa sono di ferro: la centrale fu costruita ad Acireale dal maestro Paradiso con la contribuzione dei fedeli residenti in paese; le altre due minori a Giarre, l'una con le contribuzioni degli immigrati in America, l'altra con le offerte dei fratelli Lizzio quali rappresentanti degli emigrati in Australia.
Il primo secolo di vita della Chiesa sacramentale
La Chiesa del quartiere di S. Alfio essendo stata eretta Chiesa sacramentale, cominciò a tenere dal 1811 i registri per l'amministrazione dei sacramenti. Questi registri sono fonti autentiche della vita della borgata. Si rileva anzitutto la parrocchia di cui fu filiale e il comune di cui faceva parte. Ciò è interessante perché sono quelli gli anni in cui Giarre lavorava a distaccarsi da Mascali e come parrocchia e come comune. I riflessi delle vicende di questo smembramento si possono notare nei registri della filiale, specialmente nel registro dei matrimoni dove il sacerdote che benediceva il matrimonio doveva annotare il nome del parroco da cui riceveva la delega.
Dal 1811 al 25 giugno 1815 la delega è data dal sac. Giacomo Suriano, dottore in sacra teologia e arciprete della vetustissima città di Mascali. L'ultima sua delega porta la data del 26 giugno 1815. Appare in seguito un periodo di sede vacante nel quale regge la parrocchia un economo parrocchiale: prima il sac. Gioacchino Patanè, da cui sono date le deleghe dal 12 settembre 1815 al 14 settembre 1819; poi, dal 22 ottobre 1819, dal rev. sac. Salvatore Fiamingo sempre col titolo di economo spirituale <<huius civitatis Mascalarum>>.
La firma del sac. Fiamingo comincia con la data 30 maggio 1824 ad apparire col titolo di arciprete <<huius civitatis Mascalarum>>. Però in data 30 gennaio 1826, alla pagina 182 del registro dei battesimi, prima del battesimo N. 652, c'é questa nota <<D. Salvatore Fiamingo primus Archipresbiter parochus ac rector Ecclesiae communis Giarrarum totiusque territorii, anno 1826>>.
Al primo gennaio 1869 appare la sede vacante, perché in quel giorno la delega vien data dall'economo parrocchiale sac. Bartolomeo Cavallaro e nell'anno successivo dal sac. Francesco Fichera, sempre in qualità di economo. Il 24 aprile 1871 viene per la prima volta il nome del sac. Salvatore Grasso che col titolo di arciprete dà la delega al sac. Giacomo Nicotra, e continua a delegare i cappellani della filiale di S. Alfio fino al 9 aprile 1900.
Indi sede vacante. Il giorno 11 giugno 1900 a delegare il cappellano è l'arciprete Carmelo Patanè, che fu in seguito arcivescovo di Catania. Durante la gestione dell'arciprete Patanè venne eretta la parrocchia di San Giovanni della quale la chiesa di S. Alfio passò ad essere filiale. Il 4 settembre 1905 il sac. Salvatore Leonardi dà la delega in qualità di economo, poi dal 25 novembre in qualità di arciprete.
Finalmente la chiesa di S. Alfio nel 1918 è costituita parrocchia. In data 13 novembre 1918 il sac. Giuseppe Battiato firma l'atto di matrimonio in qualità di economo in data 28 giugno 1919 in qualità di arciprete.
Così la chiesa sacramentale di S. Alfio, eretta come tale nel 1811, fu filiale prima di Mascali fino all'anno 1825, poi di Giarre dal 1826 al 1905 poi di S. Giovanni dal 1905 al 1918, anno in cui fu costituita chiesa parrocchiale archipresbiterale.
Il registro dei defunti testimonia che i morti venivano seppelliti nella chiesa, anche prima che fosse eretta chiesa sacramentale, e che continuarono a esservi seppelliti fino al 15 ottobre 1887: poi è annotato: <<sepultus in coemeterio Jarrarum>>; e dal 1901 nel cimitero di S. Alfio.
Dai tre registri, di battesimo, di matrimoni, e dei defunti, si può arguire la consistenza della popolazione della borgata nell'Ottocento. Considerando il primo quinquennio dei registri (1811-1815), e ciò perché meglio possa risultare la cifra media annuale, si rileva che i battezzati nel quinquennio furono 215; i matrimoni 52. Alla fine del secolo la media dei nati, non più quinquennale ma annuale, si aggira sul centinaio.
Dai registri risultano anche i nomi dei sacerdoti che officiavano la chiesa amministrando i sacramenti. Ricorrono molti nomi, e tutti sono certamente di sacerdoti del paese perché non c'era annesso uno stipendio all'ufficio di cappellano. Ma tra questi sacerdoti ce n'era uno che aveva affidata in particolare la cura dell'edificio della chiesa, dei registri, degli arredi, proventi che i fedeli davano per il mantenimento del culto. I loro nomi segnalati alla memoria dei posteri dai ritratti che si conservano nella sacrestia.
Apre la serie dei cappellani rettori della chiesa sacramentale il sac. Pietro Caltabiano di Tommaso, morto il 15-3-1829 in età di anni 80. È dipinto con accanto le immagini dei tre Santi perché fu lui a provvedere la chiesa delle loro statue in legno. Vi è anche annotato che fu un grande benefattore del paese poiché, come abbiamo detto, si deve a lui la prima sistemazione dell’abitato, aprendo e congiungendo strade nel dedalo delle viuzze, dei viottoli e dei cortili.
Segue in ordine di tempo il sac. Giuseppe Caltabiano di Alfio, morto il 18-9-1853 in età di anni 66. Curò la chiesa nelle sue suppelletti e nei suoi paramenti ricamati in oro e argento e si dedicò alla formazione religiosa dei fedeli. Gli è posta vicina la Madonna della Purità dell'Oratorio di Acireale per ricordare lo spirito oratoriano in cui era stato educato e che cercò di trasfondere nel popolo della borgata.
Gli succede il sac. Sebastiano Nicotra morto il 31 marzo 1856 in età di 36 anni. Resse la chiesa con amore, ma per breve tempo essendo la sua cappellania durata appena tre anni. Prende il suo posto il fratello sac. Giacomo Nicotra di Giuseppe. Nel ritratto tiene la pianta della Chiesa di cui si vede l'interno a cominciare dal transetto, perché ne fu lui l'ideatore e il costruttore morale. Le sue benemerenze sono anche civili ed economiche in riguardo alla popolazione del paese; fu lui che sostenne per lunghi anni la causa dei coloni del feudo della Cerrita e ne ottenne il riconoscimento giuridico quali concessionari in perpetuo, per un canone annuo molto favorevole.
Alla sua morte c'è una interruzione nella amministrazione della chiesa. Il registro dei matrimoni fa vedere in bianco i fogli rimasti che sono sostituiti da un quinterno aggiunto con la firma del sac. Giuseppe Battiato che ne è l'estensore e il notaio anche nel caso di matrimoni benedetti da altri sacerdoti: il che fa pensare che il registro sia rimasto per qualche tempo nella casa del defunto. Ma in seguito fu sempre lo stesso sacerdote Battiato a tenere i registri e l'amministrazione della chiesa.
Il popolo aspettava la ripresa dei lavori di costruzione della parte anteriore della chiesa, ma il cappellano temporeggiava, scoraggiato di fronte alle difficoltà finanziarie dell'impresa. Fu allora che il popolo impaziente, credendo di vedere una remora nella persona del cappellano, esplose in un tumulto che portò alla nomina del sac. Vincenzo Caltabiano quale rettore e amministratore della chiesa. Si ripresero subito i lavori sostenuti da contribuzioni e prestazioni d'opera del popolo entusiasta e fu portata a termine la parte anteriore, restando della vecchia chiesa la sola facciata. In seguito fu anche curato l'interno della chiesa con la erezione degli altari, tutti di marmo, e la crociera del pavimento anche essa di marmo, che al punto di incrocio sotto la cupola racchiudeva la lapide intarsiata con lo stemma dei tre Santi, trasferiti in seguito nel coro davanti l'altare maggiore.
Nell'agosto del 1904, mentre erano in corso dei lavori nella sacrestia furono rubate dal tabernacolo le Ostie consacrate con la relativa pisside; l'anno appresso si aggiunse un altro furto sacrilego: rubati gli ori votivi offerti dal popolo ai Santi Patroni che erano custoditi in casa del cappellano. Siccome purtroppo, il paese in quel periodo era dilaniato da discordie si diffuse la voce che questi furti erano dovuti ad una manovra per screditare il degnissimo cappellano attribuendogli la colpa di scarsa vigilanza. Le animosità si acuirono e allora il Sac. Vincenzo Caltabiano, volendo togliere le occasioni di alimentare i contrasti espatriò ad Acireale dove morì.
Nell'amministrazione della chiesa del paese furono allora chiamati quattro sacerdoti: Sac. Giuseppe Battiato, Sac. Mario Pelluzza, Sac. Venerando Coco, Sac. Alfio Raciti, i quali insieme reggevano la chiesa mentre a turno uno di essi teneva la contabilità amministrativa: il che si protrasse fino alla fondazione della parrocchia.